(Adnkronos) – La Siria ripiomba nella violenza dopo mesi di relativa stabilità successiva alla caduta del regime di Bashar al-Assad l'8 dicembre. Le forze di sicurezza fedeli al nuovo presidente ad interim Ahmed al-Sharaa – secondo quanto riferito dall'Osservatorio siriano per i diritti umani – avrebbero giustiziato centinaia di alawiti, minoranza a cui appartiene anche Assad, nella provincia costiera di Latakia. L'Osservatorio, con sede in Gran Bretagna e fonti nel Paese arabo, ha parlato esplicitamente di "esecuzioni" nella storica roccaforte dell'ex presidente, che ora si trova a Mosca. E' salito a 311 il numero dei civili alawiti uccisi da giovedì dalle forze di sicurezza siriane e "gruppi alleati" nel corso di operazioni di rastrellamento e scontri con i lealisti dell'ex presidente Bashar al-Assad nella parte occidentale del Paese, ha reso noto l'Osservatorio siriano per i diritti umani, con sede nel Regno Unito e fonti nel Paese arabo. L'organizzazione ha denunciato "la morte di 311 civili alawiti nella regione costiera, uccisi dalle forze di sicurezza e da gruppi alleati". Sale così a 524 – sempre secondo l'Osservatorio – il numero dei morti degli scontri nella provincia occidentale di Latakia avvenuti da giovedì, tra cui 213 membri delle forze di sicurezza e dei gruppi alleati. Al-Sharaa, che alla testa di fazioni armate guidate dal gruppo jihadista Hayat Tahrir al-Sham ha rovesciato Assad, ha invitato gli alawiti, contro i quali le autorità affermano di condurre operazioni di sicurezza, ad arrendersi "prima che sia troppo tardi", sottolineando che la nuova Siria avrebbe perseguito e processato i "resti" del regime. "Avete attaccato tutti i siriani e commesso un errore imperdonabile. Abbandonate le armi e arrendetevi prima che sia troppo tardi", ha affermato in un post su Telegram, mentre una fonte del ministero dell'Interno ha riferito all'agenzia di stampa ufficiale Sana che si sono verificate "violazioni individuali" sulla costa siriana e ha promesso di mettervi fine. La Bbc ha riferito che è stato imposto il coprifuoco nelle città di Homs, Latakia e Tartus, dove si registrano combattimenti e black out elettrici. Secondo l'emittente britannica, che ha confermato l'autenticità di due video che mostravano un corpo trascinato da un'auto a Latakia, le operazioni si concentrerebbero anche nella città natale di Assad, Qardaha. La violenza ha lasciato la comunità alawita in "uno stato di orrore", ha dichiarato un attivista siriano di Latakia. "Si sentono così spaventati. Sono in stato di shock", ha aggiunto l'attivista, che ha mantenuto l'anonimato per paura di rappresaglie. L'inviato speciale delle Nazioni Unite per la Siria, Geir Pedersen, si è detto "profondamente preoccupato" per le notizie di scontri e uccisioni e ha invitato tutte le parti ad "astenersi da azioni che potrebbero ulteriormente infiammare le tensioni, intensificare il conflitto, esacerbare la sofferenza delle comunità colpite, destabilizzare la Siria e mettere a repentaglio una transizione politica credibile e inclusiva". Turchia e Russia hanno avvertito che lo spargimento di sangue, il peggiore dalla caduta di Assad, minaccia la stabilità dell'intera regione. La Germania ha esortato la Siria a evitare una "spirale di violenza" e "grande preoccupazione" è stata espressa dal portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Esmaeil Baqaei, che ha condannato con fermezza "la violenza e lo spargimento di sangue di civili innocenti", avvertendo che tale instabilità costituisce un'opportunità "per attori terzi, in particolare il regime israeliano, di sfruttare la crisi ed alimentare ulteriori disordini nella regione". Le autorità di transizione siriane, impegnate nella lotta contro gruppi armati fedeli al precedente regime, si trovano ad affrontare notevoli sfide in termini di sicurezza. Dopo oltre 13 anni di guerra, la presenza di molteplici fazioni armate rende difficile il controllo dell'intero territorio in un Paese multiconfessionale e multietnico. La costa siriana è la roccaforte della minoranza alawita, una branca dell'Islam sciita che costituisce circa il 9% della popolazione siriana, in maggioranza sunnita. La regione è stata a lungo considerata la roccaforte del clan Assad, che ha governato il Paese con il pugno di ferro per più di 50 anni. Gli alawiti erano ampiamente rappresentati nell'apparato militare e di sicurezza del precedente regime, che ricorreva alla repressione e alla tortura per mettere a tacere l'opposizione. Dopo la caduta di Assad, l'8 dicembre, le tensioni hanno scosso l'area, con una recrudescenza di rapimenti e sparatorie, alimentando il timore di rappresaglie tra gli alawiti. Secondo l'Osservatorio siriano, attacchi sporadici hanno preso di mira le forze di sicurezza, a volte portati avanti da sostenitori di Assad o ex soldati dell'esercito siriano. Nella regione risiedono molti ex militari ancora armati, nonché dipendenti del settore pubblico licenziati dal nuovo governo. Secondo Aron Lund del think tank Century International, le recenti stragi di civili alawiti evidenziano la "fragilità del governo". "Gran parte del potere è nelle mani dei jihadisti radicali che considerano gli alawiti nemici di Dio", ha spiegato. Da quando è salito al potere, al-Sharaa ha cercato di rassicurare le minoranze e ha invitato le sue forze a dar prova di moderazione ed evitare qualsiasi deriva settaria. Ma questa linea – secondo Lund – non è necessariamente condivisa da tutte le fazioni che operano sotto il suo comando e che oggi formano "l'esercito e la polizia". —internazionale/[email protected] (Web Info)



