(Adnkronos) – Haiti per lui è stata "una di quelle cose che la vita ti mette davanti". Michelangelo Cambiaso Erizzo, presidente di Nph International, organizzazione umanitaria internazionale rappresentata in Italia da Fondazione Francesca Rava – Nph Italia, ha cominciato la sua avventura adottando a distanza una bambina di uno dei Paesi più poveri del mondo. "Lei aveva 11-12 anni. Oggi, quasi 20 anni dopo, è una mamma con 2 bambini. E non siamo più 'padrini' a distanza, siamo 'nonnini' a distanza", sorride. E' un legame che dura una vita. Come tutti i legami – spiega all'Adnkronos Salute – che fanno da fondamenta alle case di Nph (Nuestros Pequenos Hermanos), nate negli anni in diversi Paesi dell'America Latina. Case che accolgono bambini in difficoltà estreme. Case come quella nella Repubblica Dominicana che, in questi giorni, l'attore Raoul Bova
sta visitando, nel viaggio organizzato in occasione dei 25 anni della Fondazione Francesca Rava. "Siamo famiglia", ripete Cambiaso Erizzo. "Non la famiglia biologica, ma la famiglia allargata dei ragazzi che vivono con noi. Il nostro metodo è basato sul far crescere delle persone che possono essere un seme di speranza per il loro Paese, per la loro famiglia d'origine se ce l'hanno, per la loro comunità. I ragazzi non sono adottabili nel senso classico, proprio perché rimangono nel loro Paese e crescono integrati nel loro mondo. A 18 anni o quando vogliono, proprio come succede ai nostri figli, prendono il volo e continuano la loro vita. Vanno a studiare all'università, lavorano, si fanno una famiglia. Ma se serve restano con noi finché ne hanno bisogno". I 'pequeños' diventano grandi e non dimenticano da dove arrivano. Restituiscono alla famiglia allargata il bene ricevuto. Il legame non si spezza, cambia. Gli 'hermanos mayores' diventano 'angeli custodi' dei piccolini ospiti delle Case. Un motore d'amore che si autoalimenta da decenni. "Nph – ripercorre Cambiaso Erizzo – esiste da 76 anni. Era nata in Messico da un americano che era diventato sacerdote lì", padre William Wasson, e "aveva cominciato accogliendo un primo bambino sorpreso a rubare in chiesa". Oggi questa realtà è presente in 9 Paesi dell'America Latina e "continua ad accogliere bambini e ragazzi in difficoltà. Li facciamo crescere con noi". Nph International "raccoglie le Fondazioni dei 9 Paesi dell'America Latina dove lavoriamo e di altre 12 realtà (tra cui Nph Italia), 10 europee più 2 di Stati Uniti e Canada, dove facciamo attività di raccolta fondi, ma anche diverse attività autonome. Per esempio in Italia abbiamo lavorato con la Protezione civile e la Marina in situazioni emergenziali e siamo stati parte dell'operazione Sophia nel Mediterraneo", avviata dopo i tragici naufragi di migranti del 2015, "fornendo medici, paramedici, infermieri, volontari, mediatori culturali". Nella Repubblica Dominicana a San Pedro de Macoris c'è Casa Nph Santa Ana, costruita grazie ai donatori italiani nel 2004, che oggi ospita circa 140 bambini. All'interno della struttura i bambini alloggiano in 16 casette, raggruppati in base all'età e al sesso. Ciascuna casetta accoglie circa 16 bambini e 2 tias (assistenti) che si prendono cura di loro. A disposizione hanno campi da gioco, clinica, chiesa. Da fine 2013 in questa stessa zona c'è anche Casa San Marcos, che accoglie i bambini con disabilità e offre loro ogni giorno pasti, fisioterapia, attività educative e scolastiche (anche ai bambini con disabilità che vivono lì vicino con le loro famiglie). E' una casa nata nel nome di Marco Simoncelli, SuperSic, il pilota motociclistico morto nel 2011 a 24 anni in un incidente di gara nel circuito di Sepang in Malesia. E, ancora, a Monteplata c'è Casa Niños de Dios che ospita bambini affidati dalle autorità. Alcuni di loro, superata la fase di emergenza, torneranno in famiglia mentre altri entreranno ufficialmente nella Casa Nph Santa Ana. Secondo i dati sono circa 480 i bambini e ragazzi delle comunità supportati da Nph, 165 quelli accolti nelle case Nph. "Cerchiamo di rompere il ciclo della povertà, di far crescere adulti indipendenti e attenti. E le adozioni a distanza sono una cosa importantissima. Non c'è solo l'aspetto economico – con 26 euro al mese si sostiene la crescita di un ragazzo – ma molto di più", precisa Cambiaso Erizzo. "Tanti dei ragazzi e dei bambini che arrivano da noi hanno il trauma dell'abbandono e il legame affettivo che si crea con i padrini a distanza ha un valore profondissimo. I nostri bambini scrivono loro delle letterine, letterine di carta che oggi modernamente mandiamo via email. Noi aiutiamo i piccolini a leggerle, e loro mandano i loro disegni, stabiliscono un rapporto con i padrini che è parte della loro crescita, come succede nelle famiglie fortunate. Un gesto semplice, come gli auguri di compleanno, è un dono infinito perché il messaggio che arriva è: qualcuno si accorge di me, vuole bene a me". Le storie di questi ragazzi sono "storie di povertà, ma spesso anche di violenza, storie brutte di strada. Ci sono tante situazioni di povertà in Repubblica Dominicana. E molti dei ragazzi con cui noi lavoriamo sono figli di immigrati haitiani".
In quest'isola caraibica spaccata in 2, "molte persone nate nella parte più povera storicamente andavano in cerca di fortuna 'dall'altra parte', nella Repubblica Dominicana, e facevano lavori faticosi, stagionali, come i braccianti nelle piantagioni di canna da zucchero. Quindi – descrive Cambiaso Erizzo – esistono tanti ragazzini, figli di immigrati illegali, che non sono haitiani perché non sono mai neanche andati in Haiti, ma sono apolidi perché la Repubblica Dominicana non ne riconosce uno status di cittadini, pur essendo nati e vissuti lì, e vivono al margine estremo della società. Bambini senza radici, spesso soli, figli di nessuno, senza documenti, né accesso a cure e istruzione. La Casa Nph in Repubblica Dominicana nasce proprio da una persona che aveva lavorato tanti anni ad Haiti e voleva dare una risposta al problema. E noi vogliamo che questi piccoli diventino bambini e ragazzi amati, e poi dei buoni cittadini. Alcuni di loro oggi sono medici, chirurghi, infermieri, altri hanno fatto carriera nell'amministrazione, nelle imprese, altri ancora hanno messo su belle famiglie. Persone che hanno imparato qualcosa e possono e vogliono restituire qualcosa alla loro società". Non è amore a senso unico. C'è una doppia direzione. E Michelangelo la conosce bene. "Nella vita faccio l'ingegnere, vivo a Milano, viaggio più che posso – racconta – Ho conosciuto Nph quasi per caso, attraverso mia moglie che è francese e le avevano chiesto di tradurre la cartella medica di un ragazzino di Haiti che doveva essere operato in Italia. Poco alla volta è diventata la mia vita". Prima l'adozione a distanza. E poi di nuovo il destino. "Mi sono trovato ad Haiti subito prima che ci fosse il terremoto, era il mio primo viaggio lì. Mi sono detto: posso prendere o lasciare, ma a me la vita ha messo davanti quella cosa lì. C'erano persone con cui avevo stretto legami che erano rimaste sotto le macerie nel sisma, così sono tornato indietro. Quell'anno abbiamo fatto tanto, avanti e indietro, cercavamo di capire cosa si potesse salvare di alcuni edifici, cosa costruire di nuovo. Abbiamo iniziato a realizzare prima in maniera precaria e poi in muratura una casa per accogliere più di cento ragazzi, poi un programma per dare le protesi agli amputati". Nel cuore sempre l'esperienza dell'adozione a distanza. "Dà la bellezza di questo lavoro. E lo si capisce parlando con i bambini, con i ragazzi e con i giovani ormai cresciuti che ti dicono 'io avevo un padrino che stava a Como', e sanno tutto di lui. Conosco 35-40enni che conservano ancora le letterine. Un dono fantastico, il messaggio più forte". —salutewebinfo@adnkronos.com (Web Info)



